Le grandi questioni

Remunerazione medici specializzandi e recepimento direttive comunitarie

Lo Studio S&P, in collaborazione con l’Avv. Marco Tortorella e con il sostegno di Consulcesi, ha presentato una serie di ricorsi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo nell’interesse di migliaia di medici che non hanno percepito alcuna remunerazione durante l’espletamento dell’attività di formazione e delle correlate prestazioni mediche a causa del mancato tempestivo recepimento da parte dello Stato italiano della Direttiva 82/76/CEE del Consiglio, che aveva riconosciuto – a livello comunitario – il diritto dei medici specializzandi a vedersi corrisposta una “adeguata rimunerazione” e che gli Stati membri dell’allora Comunità economica europea avrebbero dovuto recepire entro il 31 dicembre 1982.

In particolare, in alcuni casi, i giudici italiani – pur riconoscendo il diritto al risarcimento del danno da mancata trasposizione di direttiva comunitaria ai medici ammessi ai corsi di specializzazione tra gli anni 1982 e 1991 – hanno, da un lato, liquidato in loro favore una somma nettamente inferiore rispetto a quella accordata ex lege ai colleghi specializzandi iscrittisi a decorrere dall’anno accademico 1991/92 e, dall’altro, escluso che sull’importo risarcitorio così determinato dovessero altresì calcolarsi la rivalutazione monetaria e gli interessi compensativi.

In altri casi, invece, i giudici nazionali hanno integralmente rigettato le domande risarcitorie dei medici ammessi ai corsi di specializzazione prima dell’anno accademico 1982/1983, pur avendo essi “frequentato” parte di detti corsi successivamente al 31 dicembre 1982 e, dunque, prestato la loro attività (senza alcuna remunerazione) in un periodo in cui vigeva l’obbligo – rimasto inadempiuto – dello Stato italiano di retribuire in modo adeguato il periodo di formazione specialistica.

Per tali ragioni, tra le varie doglianze formulate dinanzi ai giudici di Strasburgo, è stata censurata la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU, che garantisce il diritto al rispetto dei beni, oltre che dell’art. 14 CEDU, che sancisce il divieto di discriminazione.

La questione dell’omessa remunerazione dei medici specializzandi italiani, peraltro, è già giunta in passato all’attenzione sia della medesima Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. Schipani e altri c. Italia, 21.7.2015), sia della Corte di giustizia (cfr. CGCE, sentenza 25.2.1999, Carbonari e al., causa C-131/97; CGCE, sentenza 3.10.2000, Gozza e al., causa C-371/97; e CGUE, sentenza 24.1.2018, Pantuso e al., cause riunite C-616/16 e C-617/16), procedimenti all’esito dei quali sono state accolte gran parte delle istanze dei professionisti sanitari.

Con specifico riferimento al citato caso Schipani, la Corte europea ha accertato la violazione del diritto ad un equo processo di cui all’art. 6 § 1 CEDU, nella parte in cui impone ai giudici nazionali di ultima istanza di motivare adeguatamente le decisioni di mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, poiché la motivazione fornita dalla Corte di cassazione non consentiva di stabilire se la questione pregiudiziale sollevata dai ricorrenti (tutti medici ammessi ai corsi di specializzazione prima dell’anno accademico 1991/1992) – concernente la corretta individuazione degli obblighi gravanti sullo Stato italiano alla luce della normativa e delle giurisprudenza comunitarie in materia – fosse stata considerata come non pertinente, come relativa a una disposizione chiara ovvero come già interpretata dalla Corte di giustizia, oppure se fosse stata semplicemente ignorata. Per l’effetto, i giudici di Strasburgo hanno quindi condannato lo Stato italiano a corrispondere a ciascun ricorrente la somma di € 2.600,00, a titolo di equa soddisfazione per i danni morali subiti, oltre al rimborso delle spese legali. Non hanno invece trovato accoglimento le doglianze dei ricorrenti relative alla violazione del diritto al rispetto dei beni di cui all’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU e del divieto di discriminazione di cui all’art. 14 CEDU, ritenendo – in quel caso – la Corte europea che i medici non avessero formulato domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla perdita della possibilità di ottenere i benefici previsti dalle direttive comunitarie, limitandosi a sostenere che il danno conseguente al tardivo recepimento di queste ultime fosse in re ipsa, e che non vi fosse stata alcuna disparità di trattamento rispetto a soggetti che avevano formulato analoghe domande.