Le grandi questioni

Pensioni militari e blocco degli aumenti retributivi (2011-2015)

Per effetto del blocco degli aumenti retributivi nel pubblico impiego sancito dall’art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010 per gli anni 2011-2014 (poi prorogato sino al 31 dicembre 2015), gli ufficiali delle forze armate e dei corpi militarizzati che sono cessati dal servizio durante tale periodo si sono visti determinare riduttivamente il loro trattamento pensionistico sulla base della posizione professionale “cristallizzata” al momento immediatamente precedente al blocco e, pertanto, senza tener conto degli incrementi stipendiali e delle progressioni di carriera che sarebbero dovute maturare negli anni 2011-2015. In altre parole, la base pensionabile è stata calcolata senza considerare l’intero servizio effettivamente prestato, così provocando irreversibili effetti negativi sulle posizioni soggettive degli ufficiali in congedo.

Lo Studio S&P ha promosso numerosi giudizi nell’interesse di alti ufficiali della Guardia di Finanza, dell’Esercito e dell’Aeronautica Militare dinanzi alle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti competenti per territorio, per lamentare l’irragionevole attribuzione di un trattamento pensionistico che, erroneamente, non tiene conto degli incrementi stipendiali automatici e delle promozioni maturati durante il blocco retributivo.

Come è noto, la Corte Costituzionale ha già avuto modo di precisare che – al ricorrere di particolari condizioni di crisi finanziaria – il legislatore può adottare interventi che incidono sul trattamento economico dei pubblici dipendenti; tuttavia, ciò solo a condizione che i sacrifici imposti abbiano carattere eccezionale, non arbitrario e temporalmente limitato. La misura imposta ai danni dei ricorrenti, al contrario, si pone in aperto contrasto con tali principi dettati dal Giudice delle leggi: infatti, se è vero che le disposizioni contestate hanno comportato un sacrificio temporaneo sul trattamento retributivo spettante agli stessi, è altrettanto vero che – al contrario – gli effetti sul trattamento pensionistico risultano, di fatto, permanentiingiusti e, pertanto, costituzionalmente illegittimi.

Ulteriore profilo critico della normativa, anch’esso oggetto di ricorso, è la manifesta violazione del divieto di discriminazione ex art. 3 Cost., nella parte in cui la misura contestata provoca effetti deteriori esclusivamente in relazione ai soggetti collocati in quiescenza durante il blocco retributivo e per quelli cessati dal servizio dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2017 (per effetto del d.lgs. n. 94/2017), mentre nessun effetto produce sui soggetti cessati dal servizio a partire dal 1° gennaio 2018.

Tra i primi ricorsi patrocinati con successo dai legali dello Studio S&P (coordinati dall’avv. Matteo Magnano) vi è quello deciso il 21 settembre 2018 dalla Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti  per la Regione Calabria, la quale – sulla scorta di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina – ha accolto la domanda di ricalcolo della pensione presentata nell’interesse di un Colonnello della Guardia di Finanza. In particolare, secondo la Corte dei conti calabrese, un effetto “cristallizzante” della sospensione delle progressioni di carriera sul trattamento previdenziale – proprio come quello subito dai ricorrenti – configurerebbe una protrazione ad infinitum del blocco retributivo e, pertanto, una manifesta violazione dei principi enunciati dalla Corte costituzionale in particolare nelle sentenze n. 304/2013n. 310/2013 e n. 154/2014.

Lo Studio S&P è a disposizione per fornire maggiori informazioni sui termini e le condizioni per la proposizione di analoghi giudizi da parte dei soggetti in pensione colpiti dagli effetti del blocco retributivo (scrivici).