Fra le misure introdotte dalla riforma della giustizia nella Repubblica di Albania nel 2016 vi è la rivalutazione di tutti i circa 800 fra giudici e procuratori in servizio (il c.d. “vetting”). Tutti i magistrati vengono sottoposti ad un’indagine sui propri beni mobili e immobili (per verificarne la congruità rispetto alle entrate), sul background (per accertare eventuali collegamenti con la criminalità) e sulla professionalità (per valutare la qualità dell’operato). Questa draconiana misura è stata presentata dal Governo come indispensabile per sradicare il fenomeno della corruzione giudiziaria e per garantire l’indipendenza della magistratura da pressioni politiche.
La riforma solleva numerose criticità dal punto di vista del rispetto dei diritti fondamentali e, in particolare, delle garanzie dell’equo processo. Anziché rafforzare la magistratura, la riforma ne ha significativamente indebolito l’indipendenza, esponendola ulteriormente al rischio di pressioni politiche, con ripercussioni ancora difficili da prevedere per il futuro della democrazia albanese.
L’indagine del vetting viene condotta dal KPK (una commissione amministrativa di primo grado). Al termine dell’indagine, il KPK formula una serie di contestazioni da cui il magistrato è chiamato a difendersi. L’intero procedimento si regge su un’automatica inversione dell’onere della prova: se il magistrato non adduce elementi a discolpa ritenuti convincenti, viene automaticamente irrogata la sanzione del licenziamento. Per effetto di questo accentramento di poteri tipici di organi squisitamente inquisitori, il KPK è chiamato a decidere sulle accuse da lui stesso formulate.
Con specifico riferimento all’indagine patrimoniale, una delle criticità maggiori concerne l’assenza di termini di prescrizione. Il magistrato può essere chiamato a giustificare qualsiasi tipo di transazione, effettuata personalmente o dai propri familiari, anche decenni prima (in alcuni casi si va indietro fino agli anni ‘90). Tuttavia, si omette di tenere in considerazione che, dopo la caduta del regime, l’Albania è stata a lungo caratterizzata da un sistema di economia informale, dove le transazioni non venivano effettuate con mezzi di pagamento tracciabili, ma in contanti. In queste condizioni, è pressoché impossibile ricostruire con precisione transazioni o movimenti così risalenti nel tempo. Pertanto, molti magistrati vengono licenziati per non aver giustificato poche migliaia di euro o per aver erroneamente compilato vecchie dichiarazioni dei redditi.
Con riferimento al background, lo scopo sarebbe quello di accertare comportamenti potenzialmente rilevanti sotto il profilo penale, senza però le garanzie del processo penale (fra cui l’onere della prova in capo all’accusa) e il rispetto del canone del “oltre ogni ragionevole dubbio”.
L’irrogazione della sanzione del licenziamento nel vetting ha conseguenze assai gravose: il magistrato non può iscriversi all’albo degli avvocati, non può esercitare la professione di notaio, e non può essere assunto nella pubblica amministrazione. Questo si traduce di fatto nell’impossibilità per molti di trovare una nuova occupazione.
Allo stato attuale, anche per effetto del vetting, il sistema giudiziario albanese è paralizzato. La Corte di Cassazione non è operativa da quasi due anni (è rimasto un solo giudice), mentre la Corte costituzionale è soltanto da poco rientrata parzialmente in funzione dopo una prolungata inattività (ci sono soltanto 4 membri).
La misura del vetting è attualmente al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo, dinanzi alla quale lo Studio S&P decine di magistrati, fra cui giudici costituzionali e di cassazione, licenziati all’esito di un procedimento che non assicura le garanzie minime dell’equo processo.