Le grandi questioni

Forze armate e libertà di associazione sindacale

Lo Studio S&P è da tempo impegnato nella battaglia per il riconoscimento della libertà di associazione sindacale nell’ambito delle forze armate.

A livello nazionale, la Studio S&P ha difeso l’associazione As.so.di.pro dinanzi alle giurisdizioni amministrative e poi dinanzi alla Corte costituzionale per contestare la legittimità costituzionale del divieto assoluto di costituzione o partecipazione ad associazioni di carattere sindacale, previsto dal Codice militare per tutti gli appartenenti alle forze armate (cfr. art. 1475, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 66/2010). Con sentenza n. 8052, depositata il 23 luglio 2014, il TAR Lazio aveva ritenuto tale questione manifestamente infondata, ribadendo sostanzialmente le motivazioni alla base della risalente pronuncia della Corte costituzionale n. 449 del 1999 (per un primo commento su tale pronuncia si veda G. FARES, La libertà di associazione sindacale nell’ordinamento delle forze armate alla prova delle nuove frontiere della CEDU, in Il nuovo diritto amministrativo, 2015).

L’associazione ricorrente (ASSODIPRO) aveva, tuttavia, proposto appello al Consiglio di Stato affinché la suprema istanza amministrativa rivalutasse la questione anche alla luce della CEDU e delle altre norme internazionali a tutela della libertà sindacale.

Con ordinanza n. 2043/2017 del 4 maggio 2017, la IV Sezione del Consiglio di Stato aveva sospeso il giudizio di appello proposto dallo Studio S&P avverso la sentenza n. 8052/2014 del TAR Lazio, rimettendo alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, co 2, del Codice dell’ordinamento militare nella parte in cui pone un divieto assoluto e generale, per i militari, di aderire o costituire associazioni sindacali o a carattere sindacale, per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 11 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutelano, rispettivamente, la libertà sindacale nell’ambito della più ampia liberà di riunione e il principio di non discriminazione, e in relazione agli articoli 5 e 6 della Carta sociale europea, firmata  a  Strasburgo  il 3  maggio  1996  e  resa esecutiva in Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30, che garantiscono i diritti sindacali e il diritto alla contrattazione collettiva.

I Giudici di Palazzo Spada avevano ravvisato la “palese ed insanabile contrarietà” del divieto posto della disciplina interna “con la norma di diritto internazionale convenzionale come ricavata dall’esegesi della Corte europea dei diritti dell’uomo”, richiamando in particolare i principi affermati nelle sentenze Matelly c. Francia e Adefdromil c. Francia, rese dalla Corte di Strasburgo il 2 ottobre 2014. Sulla scorta dell’ordinanza richiamata, identica questione è stata sollevata dal TAR Veneto con l’ordinanza n. 981/2017 del 3 novembre 2017 in un caso concernente la rilevanza disciplinare dell’adesione da parte del militare ad associazioni di carattere sindacale.

Con la sentenza n. 120 del 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del Codice dell’ordinamento militare nella parte in cui vieta ai militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale. La specialità di status e di funzioni del personale militare, ha però puntualizzato la Corte, impone il rispetto di “restrizioni”, secondo quanto prevedono l’art. 11 della CEDU e l’art. 5 della Carta sociale europea. Restrizioni che, in attesa del necessario intervento del legislatore, allo stato sono le stesse previste dalla normativa dettata per gli organismi di rappresentanza disciplinati dal Codice dell’ordinamento militare. Si tratta di una pronuncia storica che supera definitivamente la precedente posizione espressa dalla Corte cositutuzionale nella citata sentenza n. 449/1999.

A livello europeo, lo Studio S&P ha promosso un’azione collettiva dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo nell’interesse di circa 400 militari della Guardia di Finanza al fine di contestare il divieto assoluto di costituzione o partecipazione ad associazioni di tipo sindacale da parte degli appartenenti ai corpi ad ordinamento militare e l’irragionevole disparità di trattamento cui sono sottoposti i militari della Guardia di Finanza rispetto ad altri corpi di polizia ad ordinamento civile che pure sono preposti allo svolgimento di analoghe funzioni di tutela dell’ordine e della sicurezza (ricorso n. 79696/13, Pansitta e altri c. Italia).

Il 15 maggio 2020, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso di notificare il ricorso al Governo italiano sia con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 11 CEDU (libertà di associazione sindacale) sia con riferimento alla dedotta violazione del principio di non discriminazione (art. 14 CEDU). La comunicazione del ricorso al Governo con il conseguente avvio della fase del contraddittorio scritto fra le parti è senz’altro un segnale positivo, che conferma la rilevanza delle questioni sottoposte al vaglio della Corte e l’intenzione della stessa di esaminare attentamente i profili di violazione sollevati dai ricorrenti, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2018. Tra i quesiti che la Corte ha sottoposto al Governo italiano ve n’è uno, in particolare, sulla disparità di trattamento dei Finanzieri rispetto agli appartenenti alla Polizia di Stato. I giudici di Strasburgo chiedono, al riguardo, se la differenza di status fra gli appartenenti alla Polizia di Stato (civile) e gli appartenenti alla Guardia di Finanza (militare) sia meramente formale e quindi se possa giustificarsi il diverso trattamento cui essi sono sottoposti relativamente all’esercizio della libertà sindacale.

Sulla questione della libertà sindacale nelle forze armate si sono già pronunciati sia la Corte europea dei diritti dell’uomo la quale ha sanzionato la legislazione francese nella parte in cui stabiliva un divieto assoluto di costituzione o partecipazione ad associazioni sindacali da parte dei militari (Adefdromil c. France, 2 ottobre 2014, e Matelly c. France, 2 ottobre 2014), sia il Comitato europeo dei diritti sociali che ha ritenuto detto divieto incompatibile anche con il diritto di libertà sindacale e il diritto di contrattazione collettiva sanciti dalla Carta sociale europea (European Council of Police Trade Unions (CESP) v. France, 4 luglio 2016, e European Organization of Military Associations (Euromil) v. Ireland, 12 febbraio 2018).

I principi enunciati dalla Corte europea e dal Comitato sociale europeo avranno dunque dirette implicazioni anche per l’ordinamento italiano.

Per maggiori informazioni circa le azioni intraprese per il riconoscimento della libertà sindacale in ambito militare contatta il nostro Studio (scrivici).