L’Italia non adempie alla decisione ONU sul naufragio del 2013

A distanza di oltre due anni dalla storica decisione nel caso S.A. e altri c. Italia (ricorso n. 3042/2017) del 27 gennaio 2021, con la quale il Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite ha condannato l’Italia per il naufragio dell’11 ottobre 2013 avvenuto in acque SAR maltesi costato la vita ad oltre 200 persone, di cui 60 bambini, il Governo italiano non ha ancora adottato alcuna misura di riparazione in favore delle vittime.

Nella richiamata decisione, il Comitato ha stabilito che l’Italia ha l’obbligo di offrire “piena riparazione” per la violazione del diritto alla vita e del diritto ad un rimedio effettivo perpetrata ai danni dei ricorrenti, prevenendo altresì il ripetersi di violazioni analoghe in futuro. Tuttavia, le reiterate richieste inviate alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero della Difesa e al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per esigere l’esecuzione di tale obbligo sono rimaste del tutto inascoltate e prive di riscontro.

Il Governo italiano non ha neppure provveduto a pubblicare la decisione del Comitato e ad assicurarne la massima diffusione in lingua italiana. Al contrario, in una nota trasmessa al Comitato ONU nell’ambito della procedura di controllo sull’esecuzione della decisione, esso ha espressamente dichiarato di non volervi adempiere, reiterando le proprie eccezioni sull’ammissibilità e sul merito del ricorso che il Comitato aveva già motivatamente respinto.

Tale condotta inadempiente costituisce un’ulteriore grave violazione degli obblighi scaturenti dal Patto internazionale sui diritti civili e politici di cui l’Italia è parte contraente.

Nel frattempo, con sentenza n. 14998 del 15.12.2022, il Tribunale di Roma ha dichiarato la prescrizione dei reati di rifiuto di atti di ufficio (art. 328, c.p.) e omicidio colposo (art. 589, c.p.) contestati al responsabile della centrale operativa del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto e al capo sezione della sala operativa di CINCNAV (Comando in capo della squadra navale della Marina Militare). Sebbene il Tribunale abbia accertato la sussistenza degli elementi costituitivi dei reati contestati (“i testimoni escussi e le restanti prove documentali assunte suffragano la dolosa omissione ascritta ai prevenuti dalla quale derivava, come evento non voluto, la morte dei migranti e dunque, a parere del Collegio Giudicante, sussistono gli elementi costitutivi di tutti i reati ascritti in rubrica, che, dato il tempo trascorso, sono estinti per intervenuta prescrizione”), nulla è stato riconosciuto alle vittime del naufragio costituitesi parti civili nel procedimento penale.

Il ricorso al Comitato era stato presentato il 19 maggio 2017 dallo Studio S&P nell’interesse di tre cittadini siriani e un cittadino palestinese sopravvissuti all’anzidetto naufragio, i quali lamentavano la violazione da parte delle autorità italiane e delle autorità maltesi del diritto alla vita dei parenti deceduti nel naufragio nonché la mancata attivazione di un’indagine effettiva e rapida sugli accadimenti e sulle eventuali responsabilità delle persone coinvolte nelle operazioni di salvataggio.

I fatti di causa sono tristemente noti. A fronte di una prima richiesta di soccorso all’I-MRCC di Roma delle ore 11:00, l’intervento di salvataggio ad opera della nave Libra della Marina Militare Italiana era avvenuto soltanto alle ore 18:30, a seguito di un non chiaro e comunque inefficace tentativo di coordinamento con le autorità maltesi, le quali avevano nel frattempo assunto la responsabilità dell’operazione di salvataggio senza però essere in grado di prestare materialmente il soccorso necessario. Le autorità italiane avevano indebitamente ritardato il proprio intervento sostitutivo – peraltro sollecitato dalle stesse autorità maltesi – pur avendo la materiale possibilità di salvare le vite dei naufraghi.

Nel dichiarare ammissibile il ricorso presentato contro l’Italia e anche un analogo ricorso presentato contro Malta, il Comitato dei diritti umani ha riconosciuto, per la prima volta, che gli Stati sono vincolati al rispetto dei loro obblighi in materia di protezione del diritto alla vita anche in relazione ad eventi che si verificano al di fuori del proprio territorio o delle proprie acque territoriali o delle proprie imbarcazioni, purché essi siano comunque in grado di esercitare un potere o un controllo effettivo, anche se soltanto potenziale, rispetto ad una situazione di minaccia per la vita delle persone in mare.

Infatti, pur essendo pacifico che il naufragio fosse avvenuto in acque internazionali e che nessuna delle presunte violazioni si fosse verificata a bordo di una nave battente bandiera italiana o maltese, il Comitato ha ritenuto che le vittime del naufragio si trovassero sotto la “giurisdizione” di entrambi gli Stati ai fini dell’applicazione delle norme del Patto internazionale. Mentre per Malta tale conclusione si è fondata sull’assunzione di responsabilità per il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso in base alla rilevante normativa internazionale di cui alle Convenzioni SAR e SOLAS, per l’Italia essa ha fatto leva sull’esistenza di una “relazione di speciale dipendenza (…) tra gli individui a bordo della nave in pericolo e l’Italia”.

Nel dettaglio “questa relazione includeva elementi fattuali, in particolare, il contatto iniziale intercorso tra la nave in pericolo con l’MRCC, la stretta vicinanza della ITS Libra alla nave in pericolo e il coinvolgimento continuo del MRCC nell’operazione di salvataggio – nonché pertinenti obblighi legali assunti dall’Italia ai sensi del diritto internazionale del mare, incluso il dovere di rispondere in modo ragionevole alle chiamate di soccorso ai sensi della Convenzione SOLAS e il dovere di cooperare adeguatamente con altri Stati che intraprendono operazioni di soccorso ai sensi della Convenzione internazionale sulla Ricerca e il Salvataggio Marittimo”.

Secondo il Comitato, dunque, “gli individui a bordo della nave in pericolo sono stati direttamente interessati dalle decisioni prese dalle autorità italiane in un modo ragionevolmente prevedibile alla luce dei pertinenti obblighi giuridici in capo all’Italia, (ed) erano quindi soggetti alla giurisdizione italiana ai fini dell’applicazione del Patto, nonostante il fatto che si trovassero all’interno dell’area di ricerca e soccorso maltese e quindi soggetti contemporaneamente alla giurisdizione di Malta

Nel merito, il Comitato ha accolto il ricorso presentato contro l’Italia riscontrando la violazione da parte di quest’ultima del diritto alla vita tutelato dall’art. 6 § 1 del Patto e del diritto ad un rimedio interno effettivo garantito dall’art. 2 § 3 lett. a) del Patto a causa del colpevole ritardo nelle operazioni di soccorso e nello svolgimento delle indagini sull’accaduto.

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