“Quote latte”: per la Corte europea violati i diritti di difesa

Con una sentenza emessa all’unanimità in data 8 luglio 2021,  la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso presentato dallo Studio S&P nell’interesse di alcuni produttori di latte, amministratori e sindaci a vario titolo delle cooperative “Savoia”, i quali erano stati rinviati a giudizio in ordine ad una pluralità di reati asseritamente finalizzati ad aggirare il c.d. regime delle “quote latte”, disciplinato con Reg. CEE n. 856/84.

La Corte europea ha accertato la violazione dell’art. 6 § 1 CEDU poiché i giudici nazionali hanno condannato i ricorrenti per la prima volta in grado di appello per il reato di cui all’art. 416 c.p. senza disporre l’esame degli imputati e, per una dei ricorrenti, anche per la mancata riassunzione dei testi escussi in primo grado.

In particolare, in relazione alla posizione di sei dei ricorrenti, la Corte ha ritenuto che il giudice del gravame abbia effettuato una mera rivalutazione in diritto degli elementi costitutivi del reato associativo, ponendo alla base del suo convincimento i fatti così come accertati dal giudice di prime cure che li aveva condannati per il solo reato di truffa aggravata. A diversa conclusione la Corte è giunta per la settima ricorrente, in quanto la sua colpevolezza per il reato di truffa e di associazione a delinquere è stata accertata per la prima volta in appello sulla base di una diversa valutazione delle testimonianze rese in primo grado.

La sentenza in esame segna una nuova tappa nello sviluppo della giurisprudenza europea in materia di riapertura dell’istruttoria dibattimentale nel caso di riforma in appello della sentenza assolutoria di primo grado, posto che la Corte ha constatato per la prima volta la sussistenza di un obbligo in capo ai giudici nazionali di valutare direttamente gli elementi di prova presentati personalmente dall’imputato che si proclama innocente e che non ha rinunciato esplicitamente a prendere la parola, precisando che “in tali circostanze, spetta all’autorità giudiziaria adottare tutte le misure positive idonee a garantire l’audizione dell’interessato, anche se quest’ultimo non si è presentato all’udienza, non ha chiesto l’autorizzazione a prendere la parola davanti al giudice di appello e non si è opposto, tramite il suo avvocato, a che il giudice renda una pronuncia sul merito” (§ 56).

La Corte ha condannato il Governo italiano a corrispondere in favore di ciascun ricorrente la somma di € 6.500,00 a titolo di danno non patrimoniale e ha individuato nella riapertura del procedimento o nella celebrazione di un nuovo processo, su istanza dell’interessato, un mezzo adeguato per ottenere la riparazione in forma specifica del danno subito in conseguenza della violazione riscontrata (§ 72).

Il testo integrale della sentenza è disponibile qui.

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