Illegittimo il divieto di associazione sindacale nelle forze armate

Lo Studio S&P ottiene una storica pronuncia della Corte costituzionale che segna un avanzamento delle libertà civili nell’ambito delle Forze armate. Con la sentenza n. 120 depositata il 13 giugno 2018 (il cui dispositivo era stato preannunciato con un comunicato stampa pubblicato l’11 aprile 2018), la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del Codice dell’ordinamento militare nella parte in cui vieta ai militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale. La specialità di status e di funzioni del personale militare, ha però puntualizzato la Corte, impone il rispetto di “restrizioni”, secondo quanto prevedono l’art. 11 della CEDU e l’art. 5 della Carta sociale europea. Restrizioni che, in attesa del necessario intervento del legislatore, allo stato sono le stesse previste dalla normativa dettata per gli organismi di rappresentanza disciplinati dal Codice dell’ordinamento militare.

La Corte ha, quindi, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010, in quanto prevede che «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali» invece di prevedere che «I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali».

Con ordinanza n. 2043/2017 del 4 maggio 2017, la IV Sezione del Consiglio di Stato aveva sospeso il giudizio di appello proposto dallo Studio S&P avverso la sentenza n. 8052/2014 del TAR Lazio, rimettendo alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1475, co 2, del Codice dell’ordinamento militare nella parte in cui pone un divieto assoluto e generale, per i militari, di aderire o costituire associazioni sindacali o a carattere sindacale, per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 11 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutelano, rispettivamente, la libertà sindacale nell’ambito della più ampia liberà di riunione e il principio di non discriminazione, e in relazione agli articoli 5 e 6 della Carta sociale europea, firmata  a  Strasburgo  il 3  maggio  1996  e  resa esecutiva in Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30, che garantiscono i diritti sindacali e il diritto alla contrattazione collettiva.

I Giudici di Palazzo Spada avevano ravvisato la “palese ed insanabile contrarietà” del divieto posto della disciplina interna “con la norma di diritto internazionale convenzionale come ricavata dall’esegesi della Corte europea dei diritti dell’uomo”, richiamando in particolare i principi affermati nelle sentenze Matelly c. Francia e Adefdromil c. Francia, rese dalla Corte di Strasburgo il 2 ottobre 2014. Sulla scorta dell’ordinanza richiamata, identica questione è stata sollevata dal TAR Veneto con l’ordinanza n. 981/2017 del 3 novembre 2017 in un caso concernente la rilevanza disciplinare dell’adesione da parte del militare ad associazioni di carattere sindacale.

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