Tutela della reputazione on-line e diritto all’oblio

Lo Studio S&P è  attivamente impegnato nella tutela della reputazione on-line e del c.d. “diritto all’oblio”, ossia il diritto di un individuo ad essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato sono stati oggetto di cronaca. Tale diritto rientra ovviamente nella tutela della privacy, ma dal generale “diritto alla riservatezza” si distingue nettamente per il fatto che, in questo caso, l´interesse di cui si richiede la tutela ha ad oggetto notizie già divulgate e, pertanto, sfuggite alla sfera di appartenenza esclusiva del titolare, delle quali si vuole impedire una nuova circolazione.

Su tale tema si è pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cfr. causa C-131/12, sentenza del 13 maggio 2014), condannando Google alla cancellazione di vecchie notizie, non più attuali, relative ad un cittadino spagnolo, il quale, inserendo il proprio nominativo nel citato motore di ricerca, aveva rinvenuto informazioni relative ad una procedura – conclusasi peraltro in suo favore – risalente a 16 anni prima. La Corte UE ha ritenuto che “il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento da esso effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi” ed ha legittimato i cittadini europei a richiedere a tali gestori la rimozione delle informazioni pubblicate che li riguardano che siano “inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti, ovvero eccessive in rapporto alle finalità del trattamento in questione realizzato dal gestore del motore di ricerca”.

In tali casi, il gestore è, quindi, obbligato ad eliminare dall’elenco dei risultati i collegamenti verso pagine web pubblicate da siti terzi e contenenti informazioni relative alla persona interessata, a prescindere dalla circostanza che tali informazioni siano o meno cancellate dalle pagine web direttamente coinvolte o dalla liceità o meno della relativa pubblicazione. Nel caso di rifiuto da parte del gestore, gli utenti possono rivolgersi al Garante per la privacy o all’autorità giudiziaria. Di recente, il Garante ha accolto le richieste di deindicizzazione formulate da alcuni segnalanti nei confronti di Google, in quanto nei documenti pubblicati su un sito erano presenti numerose informazioni eccedenti ovvero la notizia era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona.

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