Con sentenza n. 46038 dell’11 ottobre 2024, depositata in data 16 dicembre 2024, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza con la quale il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva respinto il reclamo presentato da un detenuto sottoposto al regime di detenzione differenziata ex art. 41-bis o.p. avverso il decreto ministeriale di proroga del c.d. “carcere duro”.
Per dimostrare l’asserita “attuale pericolosità sociale qualificata” del detenuto – requisito indispensabile ai fini della legittimità della proroga del regime detentivo speciale – il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva valorizzato i seguenti indici sintomatici:
Dinanzi al giudice di legittimità, il detenuto – sottoposto al regime di detenzione differenziata continuativamente da oltre 23 anni – ha contestato che sia il decreto di proroga, sia l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma che lo aveva acriticamente condiviso, avevano del tutto omesso di procedere ad una rinnovata valutazione della sua condizione soggettiva di pericolosità sociale, essendosi viceversa limitati a riprodurre apoditticamente le motivazioni stereotipate dei precedenti decreti di proroga. Gli elementi valorizzati dal Ministro e dal Tribunale risultavano, dunque, privi dei necessari connotati di attualità ed individualizzazione, ed erano pertanto inidonei a dimostrare il permanere dei presupposti per la reiterazione del regime. In altri termini, il provvedimento si fondava su una illegittima presunzione assoluta di pericolosità sociale del ricorrente, contraria sia agli artt. 3 e 27 Cost., sia all’art. 3 CEDU.
Nella sentenza in commento, la Corte di cassazione ha in primo luogo ribadito che, nel caso della proroga della sottoposizione al regime differenziato, il controllo giurisdizionale affidato al Tribunale di sorveglianza svolge un ruolo cruciale in quanto è finalizzato a garantire che la parziale compressione dei diritti trattamentali del detenuto si fondi su una valutazione concreta e aggiornata della “capacità e attitudine” dello stesso di mantenere contatti con l’ambiente criminale di originaria appartenenza, sì da costituire un pericolo per l’ordine pubblico. Laddove venga meno siffatta valutazione, la permanenza del regime differenziato non trova più copertura costituzionale, “risolvendosi – effettivamente – in una presunzione legale di permanenza sine die della pericolosità soggettiva”.
A tale riguardo, la Corte, in sintonia con quanto rappresentato dalla difesa del detenuto, ha precisato che la motivazione del provvedimento di proroga deve “da un lato rapportarsi alle originarie statuizioni (al fine di soppesare la loro attuale validità indicativa) dall’altro vagliare tutti gli elementi sopravvenuti, potenzialmente idonei a rappresentare mutamenti nelle varie condizioni di fatto che possono incidere sulla necessità di mantenere in vita le restrizioni al regime ordinario”.
Sul punto, il Giudice di legittimità ha poi richiamato la sentenza resa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel noto caso Provenzano c. Italia (ricorso n. 55080/13, sentenza del 25 ottobre 2018), ove i giudici di Strasburgo hanno riconosciuto che le finalità puramente preventive e di sicurezza del regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis o.p. sono compatibili con il divieto di sottoposizione a trattamenti e pene inumane e degradanti di cui all’art. 3 CEDU, purché tanto l’applicazione, quanto la proroga del regime siano sorrette da adeguata e congrua giustificazione.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di cassazione ha ritenuto fondate le doglianze sollevate dal ricorrente per assenza, nella decisione impugnata, di un apprezzamento in concreto dell’incidenza del decorso del tempo in rapporto alla condizione associativa pregressa (peraltro, mai processualmente accertata in termini di ruolo “di vertice”), di un’analisi concreta delle emergenze fattuali che dimostrino l’attivismo esterno del gruppo di riferimento e di un apprezzamento in concreto del percorso trattamentale del detenuto.
Pertanto, la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio per un nuovo esame del reclamo da parte del Tribunale di sorveglianza di Roma.
La pronuncia in commento risulta di particolare rilievo in quanto non solo ribadisce i principi già affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte costituzionale sulla necessità che la proroga del regime 41-bis sia sostenuta da una motivazione congrua, solida ed effettiva, ma offre all’interprete delle coordinate aggiuntive per valutare il rispetto dei menzionati criteri di adeguatezza motivazionale. Ai fini della proroga del regime non è sufficiente una motivazione stereotipata e generica. Al contrario, grava sul Ministro della Giustizia e sul Tribunale di sorveglianza l’onere aggravato di indicare le specifiche emergenze fattuali, dotate dei necessari requisiti di attualità ed individualizzazione, dalle quali sia possibile ricavare il permanere della pericolosità sociale qualificata del detenuto.
Il team di professionisti che ha assistito il ricorrente è composto dall’Avv. Prof. Andrea Saccucci e dall’Avv. Valentina Cafaro.
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