Con provvedimento del 7 giugno 2024, pubblicato il 24 giugno 2024, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato il via all’esame in contraddittorio del ricorso presentato nell’aprile del 2022 dall’Avv. Prof. Andrea Saccucci, dall’Avv. Giulia Borgna e dall’Avv. Valentina Cafaro dello Studio S&P, insieme all’Avv. Lorenzo Tardella, nell’interesse di un detenuto sottoposto al regime differenziato ex art. 41-bis o.p., per lamentare la violazione dell’art. 8 CEDU in relazione al diniego da parte delle autorità statali della richiesta del ricorrente di sottoscrivere un abbonamento a riviste per soli adulti, non incluse nell’elenco delle pubblicazioni acquistabili mediante il sopravvitto.
Il ricorso trae origine dai seguenti fatti. Nel 2019, la Direzione dell’istituto penitenziario respingeva la richiesta del ricorrente di poter acquistare in abbonamento alcune riviste per soli adulti. Il diniego veniva poi confermato in sede di reclamo dal Magistrato di Sorveglianza, il quale riteneva, da un lato, che vi fosse il rischio che attraverso le riviste venissero veicolati messaggi criptici provenienti dall’esterno e, dall’altro lato, che l’acquisto delle riviste non fosse “essenziale per la sfera sessuale del detenuto”.
Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza accoglieva l’impugnazione proposta dal ricorrente, rilevando come la sua richiesta afferisse all’esercizio di un diritto fondamentale della persona la cui compressione non poteva ritenersi giustificata dalla finalità di tutela dell’ordine interno e della sicurezza esterna. Infatti, l’ordinamento prevede dei meccanismi di controllo preventivo in grado di scongiurare il pericolo che i detenuti sottoposti al regime 41-bis possano essere raggiunti da messaggi provenienti dall’esterno ed occultati all’interno di giornali e riviste. Pertanto, il Tribunale ordinava all’amministrazione penitenziaria di consentire al ricorrente di acquistare le riviste per soli adulti, a condizione che le stesse fossero preventivamente sottoposte a visto di controllo e che l’acquisto avvenisse a spese del detenuto.
Tale provvedimento veniva impugnato da parte del Ministero della Giustizia dinanzi alla Corte di Cassazione, che accoglieva il ricorso. Secondo il giudice di legittimità, il divieto opposto al ricorrente non comportava la negazione del diritto alla sessualità del detenuto, ma incideva sulle modalità di esplicazione di tale diritto, che “restano affidate alle scelte discrezionali dell’Amministrazione penitenziaria, in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne, che, ove non manifestamente irragionevoli, ovvero sostanzialmente inibenti la fruizione del diritto, non sono sindacabili in sede giudiziaria”.
Dinanzi alla Corte europea, il ricorrente ha sostenuto che l’ingerenza dello Stato italiano nel suo diritto alla sessualità – che rappresenta un’importante componente della “vita privata” protetta dall’art. 8 CEDU – non fosse “necessaria in una società democratica” in ragione del fatto che la limitazione imposta dall’amministrazione penitenziaria aveva portata puramente afflittiva e risultava del tutto sproporzionata ed incongruente rispetto al fine di interesse generale asseritamente perseguito.
Disponendo la comunicazione del ricorso al Governo italiano ai sensi dell’art. 54 § 2 b) del Regolamento, la Corte europea ha evidentemente ritenuto che le censure agitate dal ricorrente meritino un approfondimento nel merito ed è ha formulato all’indirizzo delle parti la seguente domanda sulla quale dovrà vertere il contraddittorio:
“Vi è stata una violazione del diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata, in contrasto con l’articolo 8 della Convenzione, a causa del rifiuto di consentire al ricorrente di abbonarsi a riviste pornografiche a proprie spese? In particolare, è stato raggiunto un giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti coinvolti nel caso di specie?”
Il caso di specie è emblematico dell’attenzione che la Corte europea riserva all’esame della compatibilità convenzionale delle restrizioni applicate ai detenuti sottoposti al cd. carcere duro. Pur avendo ritenuto che l’applicazione del regime differenziato non costituisca, di per sé, una violazione dei diritti convenzionalmente garantiti, la Corte ha infatti costantemente ribadito che, ai fini della compatibilità con il diritto al rispetto della vita privata di cui all’art. 8 CEDU, è necessario che le singole limitazioni scaturenti dall’applicazione del regime 41-bis siano rispettose dei requisiti di legalità, scopo legittimo e proporzionalità prescritti dall’art. 8 § 2 CEDU.
Per ulteriori informazioni, contattare lo Studio S&P all’indirizzo email: studio@saccuccipartners.com.
Image by Ichigo121212 from Pixabay