Con una sentenza emessa all’unanimità in data 12 ottobre 2023, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso presentato dallo Studio S&P nell’interesse di un padre separato che, a causa del persistente rifiuto degli organi giudiziari interni di pronunciarsi sulla sua domanda di esercitare all’estero una parte del proprio diritto di visita, non ha potuto vedere il figlio minore A. per oltre quattro anni.
Con decisione del novembre 2020, il Tribunale di Genova aveva statuito che il trasferimento del minore in Australia per trascorrere alcuni giorni con il padre durante le vacanze scolastiche potesse avvenire soltanto previo consenso di entrambi i genitori. Con provvedimento del marzo 2021, la Corte d’appello di Genova, pur riconoscendo che la madre di A. si era ripetutamente opposta a che il figlio si recasse a trovare il padre in Australia, aveva confermato la decisione del Tribunale.
Con la sentenza in commento, la Corte europea ha osservato che, sebbene sia in linea di principio accettabile che l’ordinamento interno di uno Stato subordini lo spostamento di un minore all’estero all’assenso dei due genitori, gli artt. 316 e 337-ter del Codice civile italiano garantiscono un intervento sostitutivo dell’autorità giudiziaria in caso di disaccordo, al fine di tutelare l’interesse superiore del minore.
Ebbene, secondo la Corte, l’“approccio formalistico” adottato nel caso di specie dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Genova presenta dei profili di frizione con il dettato convenzionale nella misura in cui le giurisdizioni nazionali, invece che adottare le misure più adeguate a realizzare le condizioni necessarie al pieno esercizio del diritto di visita del padre, hanno tollerato che la madre, con il suo comportamento, impedisse l’instaurarsi di una “vera relazione” fra il ricorrente e il minore.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha quindi concluso che, per diversi anni, le autorità interne non abbiano fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare al fine di tutelare il diritto del ricorrente e di suo figlio a sviluppare e mantenere un legame affettivo, con conseguente violazione del diritto alla vita privata e familiare garantito dall’art. 8 CEDU. Ai sensi dell’art. 41 CEDU, Corte ha, inoltre, condannato il Governo italiano a corrispondere in favore del ricorrente l’importo di € 4.023,00, a titolo di danno patrimoniale, e di € 7.000,00, a titolo di danno non patrimoniale, oltre alla refusione delle spese legali.
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