L’abuso dell’amministrazione di sostegno viola la CEDU

Con una sentenza emessa all’unanimità in data 6 luglio 2023 nel caso Calvi e C.G. c. Italia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso presentato dal sig. Calvi nell’interesse di suo cugino C.G. – un anziano signore sottoposto ad amministrazione di sostegno rimasto a lungo ricoverato contro la sua volontà in una Residenza Sanitaria Assistenziale (“RSA”) in regime di isolamento sociale – riscontrando una violazione del diritto alla vita privata e familiare tutelato dall’art. 8 CEDU.

Il sig. C.G. era stato sottoposto ad amministrazione di sostegno nel 2017 su richiesta della sorella, la quale aveva sostenuto che egli fosse incapace di gestire autonomamente il proprio patrimonio. Negli anni a seguire, i servizi sociali avevano rilevato un deterioramento delle condizioni del sig. C.G. e, nel maggio del 2020, il giudice tutelare aveva ampliato i poteri dell’amministratore di sostegno, affidando a costui la cura del ricorrente nonché la gestione delle questioni riguardanti la salute ed il luogo di vita dello stesso. In particolare, l’amministratore di sostegno era stato espressamente autorizzato a collocare il sig. C.G. in una struttura di assistenza e ricovero e ad esprimere il relativo consenso in luogo dell’interessato (un potere, questo, avente natura chiaramente sostitutiva della volontà del beneficiario).

Nell’ottobre del 2020, il giudice tutelare, su proposta dell’amministratore di sostegno, aveva infine disposto il ricovero del sig. C.G. presso una RSA, misura alla quale il ricorrente si era fermamente opposto. In seguito al clamore mediatico suscitato dalla vicenda del ricorrente (divenuta oggetto di un’inchiesta giornalistica condotta dal noto programma televisivo Le Iene), l’amministratore di sostegno aveva poi deciso di inibire qualsiasi comunicazione tra C.G. e terze persone, ad eccezione del sindaco del comune di residenza del ricorrente.

La vicenda del sig. C.G. era stata attenzionata anche dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale il quale, dopo aver visitato il ricorrente presso la RSA, aveva inviato una raccomandazione formale alla Procura presso il Tribunale di Lecco, invitando i magistrati ivi operanti a rivolgersi al giudice tutelare per chiedere la cessazione del ricovero forzato del ricorrente nonché l’adozione di un regime di tutela adeguato alle sue esigenze e conforme alla sua volontà. Il Garante aveva infatti sottolineato che la collocazione del ricorrente presso la RSA era stata decisa contro la volontà dell’interessato. Peraltro, il graduale rientro del ricorrente presso il proprio domicilio era stato raccomandato anche da uno dei periti nominati dal giudice tutelare.

Con la sentenza in commento, resa a meno di due anni dall’introduzione del ricorso, la Corte ha ritenuto del tutto sproporzionata l’ingerenza delle autorità nazionali nella vita privata del ricorrente, attuta in difetto di garanzie procedurali idonee ad assicurare il mantenimento del giusto equilibrio tra l’esigenza di tutelare l’integrità psicofisica del ricorrente e quella di rispettarne la dignità ed il diritto di autodeterminazione.

In particolare, la Corte ha attribuito rilevanza alle seguenti circostanze: i) all’amministratore di sostegno erano stati attribuiti poteri sostitutivi – e non di mero supporto – che gli avevano consentito di adottare scelte inerenti ad aspetti fondamentali della vita del ricorrente in totale spregio dei desideri e delle preferenze dello stesso; ii) il ricorrente non era stato adeguatamente coinvolto nel procedimento e, nel corso del suo ricovero forzato in RSA, era stato sentito dal giudice tutelare una sola volta; iii) egli era inoltre stato trattenuto in RSA contro la sua volontà e in uno stato di rigido isolamento nonostante gli esperti ne avessero raccomandato un graduale ritorno a casa e si fossero espressi per l’opportunità di offrire allo stesso occasioni di svago e di socializzazione.

Peraltro, la Corte ha sottolineato che la decisione di sottoporre il ricorrente ad amministrazione di sostegno non si era basata su una constatazione di infermità psichica dello stesso, ma sulla sua dissolutezza e sul progressivo deterioramento delle sue condizioni psico-fisiche, con la conseguenza che le autorità nazionali avrebbero dovuto valutare ancor più attentamente “tutti i fattori rilevanti” prima di adottare scelte così radicali (ivi, § 91). In particolare, la Corte ha precisato che “qualsiasi misura di protezione adottata nei confronti di una persona in grado di esprimere la propria volontà deve rispecchiare il più possibile tale volontà” (ivi, § 96). Nel caso di specie, la Corte ha dunque ritenuto che le autorità nazionali avessero “abusato della flessibilità dell’amministrazione di sostegno per perseguire finalità che la legge italiana assegna, entro limiti rigorosi, al T.S.O.” (ivi, § 102).  

Pur non essendo stato introdotto in via diretta dal sig. C.G., vittima delle violazioni CEDU lamentate dinanzi alla Corte, ma da suo cugino, il sig. Calvi, il ricorso è stato dichiarato ammissibile in quanto, da un lato, il sig. C.G. era di fatto impossibilitato a rivolgersi direttamente alla Corte (egli aveva infatti un rappresentante legale, l’amministratore di sostegno, ed il ricorso riguardava proprio le restrizioni imposte da costui), dall’altro lato, il ricorso sollevava “gravi questioni relative alle condizioni di vita delle persone anziane ricoverate nelle case di cura, da considerarsi di interesse generale in ragione della vulnerabilità delle persone che risiedono in tali istituti” (ivi, § 69).

Invero, la questione affrontata dalla Corte europea trascende il singolo caso del ricorrente in quanto trae origine da una serie di criticità strutturali che caratterizzano l’istituto dell’amministrazione di sostegno.

Nato al fine di predisporre una forma di tutela delle persone con autonomia ridotta che fosse idonea a garantire il rispetto della dignità umana e dell’autodeterminazione del beneficiario della misura, tale strumento ha ben presto rivelato i suoi limiti. In particolare, lo Stato italiano ha omesso di predisporre presidi idonei a garantire che l’amministratore di sostegno assuma esclusivamente una funzione di supporto del beneficiario della misura e non di sostituzione della sua volontà. Tali lacune hanno di fatto consentito il consolidamento di situazioni che presentano evidenti profili di frizione con alcuni dei diritti tutelati dalla CEDU, nonché con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Del resto, già nel 2016 il Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità aveva invitato lo Stato italiano ad “abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno”.

Lo Studio Saccucci & Partners assiste i soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno e in particolari condizioni di vulnerabilità nei giudizi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e ad altri organismi internazionali. Per maggiori informazioni contattare lo Studio S&P all’indirizzo e-mail: studio@saccuccipartners.com.

Avv. Valentina Cafaro

Foto di StockSnap da Pixabay

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