Cambiamento climatico: richiesta di parere alla CIG

Il 29 marzo 2023 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, attraverso una risoluzione (A/77/L.58) adottata per consenso, ha richiesto alla Corte internazionale di giustizia (CIG) un parere consultivo sugli obblighi internazionali degli Stati in materia di cambiamento climatico. L’iniziativa è stata promossa dalla Repubblica di Vanuatu, un arcipelago situato nell’Oceano Pacifico, particolarmente minacciato dagli effetti del surriscaldamento globale.

Con tale richiesta l’Assemblea Generale ha chiesto alla CIG di esprimersi sulle seguenti questioni:

a) Quali sono gli obblighi degli Stati in base al diritto internazionale al fine di proteggere il sistema climatico e le altre parti dell’ambiente dalle emissioni antropogeniche di gas a effetto serra per gli Stati e per le generazioni presenti e future?

b) Quali sono le conseguenze giuridiche di tali obblighi per gli Stati laddove questi, per azioni o omissioni, abbiano causato un significativo danno al sistema climatico e ad altre parti dell’ambiente, riguardanti:

(i) Gli Stati, in particolare i piccoli Stati insulari in via di sviluppo che, a causa delle loro circostanze geografiche e del loro livello di sviluppo, sono danneggiati o particolarmente colpiti da o vulnerabili rispetto agli effetti avversi dei cambiamenti climatici?

(ii) I popoli e gli individui delle generazioni presenti e future colpiti dagli effetti avversi del cambiamento climatico?

Nel rispondere a tali domande, la CIG avrà l’occasione di fare chiarezza sulla portata degli obblighi statali in relazione al cambiamento climatico, non solo nei confronti degli altri Stati, in particolare quelli più vulnerabili e in via di sviluppo, ma anche nei confronti delle generazioni presenti e future. Tale richiesta si aggiunge a quelle già pendenti, rispettivamente, dinanzi al Tribunale internazionale del diritto del mare e alla Corte interamericana dei diritti umani.

Non è la prima volta che uno Stato promuove un’iniziativa dell’Assemblea Generale sul tema del cambiamento climatico, ma è la prima volta che tale iniziativa, fortemente sostenuta da piccoli Stati insulari, raggiunge questo risultato.

A seguito della formale adozione della risoluzione, l’Assemblea Generale comunica la richiesta in forma scritta alla CIG, specificando le questioni su cui essa è chiamata a decidere. La CIG può riformulare la questione giuridica che le è stata posta nel caso in cui essa sia non chiara o vaga, o non adeguatamente formulata, o nel caso in cui non rifletta la reale problematica giuridica, e può anche decidere di non rendere il parere richiesto in presenza di motivi imperativi.

Una volta che la CIG si è pronunciata sulla formulazione della questione giuridica, essa può raccogliere informazioni in forma orale o scritta e gli Stati possono presentare dichiarazioni scritte o commenti sulle dichiarazioni rese da altri Stati. Tale fase della procedura è flessibile e può durare anche diversi mesi.

La formulazione della richiesta del 29 marzo 2023 da parte dell’Assemblea Generale è saldamente ancorata al diritto internazionale dei diritti umani: il richiamo, infatti, a trattati sui diritti umani, quali la Dichiarazione universale dei diritti umani e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, potrebbe indurre la CIG ad orientarsi verso un’interpretazione che riconosca le implicazioni dei cambiamenti climatici sui diritti umani. D’altronde, le recenti pronunce in materia da parte di numerose corti interne sembrano andare in questa direzione (cfr. Urgenda Foundation v. State of the Netherlands; Neubauer et al. v. Germany; Future Generations v. Ministry of the Environment and Others)

Infatti, le corti nazionali e sovranazionali stanno via via affermando la responsabilità di governi e attori privati per il cambiamento climatico, basandosi su numerosi studi scientifici – contenuti anche nei report del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico – che dimostrano come le emissioni di gas serra siano la principale causa del surriscaldamento globale e come il cambiamento climatico sia alla base di effetti negativi su larga scala, con conseguenti danni e perdite, specialmente per i paesi e le comunità più vulnerabili.

La stessa Assemblea Generale è chiara, infatti, nel sottolineare che sul punto sussiste ormai il consenso della comunità scientifica e si può ragionevolmente immaginare che anche la CIG rimarcherà il carattere scientifico del cambiamento climatico, così da arginare le teorie negazioniste diffuse anche in tale ambito. Allo stesso tempo, l’intervento della CIG potrebbe attribuire una maggiore autorevolezza agli obiettivi individuati dalla comunità scientifica, fra tutti quello di ridurre le emissioni di gas serra per rimanere al di sotto dei 2 °C di riscaldamento medio globale rispetto all’età preindustriale, come previsto dall’Accordo di Parigi. Tale Accordo, stipulato tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, è lo strumento di diritto internazionale che più di tutti dimostra l’impegno degli Stati a contrastare il cambiamento climatico e sarà un elemento chiave per stabilire la portata degli obblighi degli Stati.

Ma vi sono altri strumenti di soft law che potranno essere considerati dalla CIG per individuare il contenuto degli obblighi incombenti sugli Stati. Ricordiamo, ad esempio, varie risoluzioni dell’Assemblea Generale, tra cui la risoluzione A/76/L.75 che qualifica il diritto a un ambiente pulito, salubre e sostenibile come diritto umano, evidenziando l’interconnessione tra protezione ambientale e diritti umani e sottolineando che il cambiamento climatico rappresenta una delle “più pressanti e serie minacce alla capacità delle generazioni presenti e future di godere efficacemente di tutti i diritti umani”.

Il focus sulle generazioni presenti e future, che emerge nella richiesta di parere consultivo, potrebbe indurre la CIG a riaffermare non solo le conseguenze dei cambiamenti climatici sui diritti umani, ma anche gli obblighi statali in materia di diritti umani nel contesto del cambiamento climatico. La necessità di modellare gli obblighi degli Stati in materia di cambiamento climatico alla luce dei diritti umani era già stata affermata nel Preambolo dell’Accordo di Parigi. Richiamandosi a tale strumento, la CIG potrebbe integrare all’interno del proprio parere il principio di progressività – enunciato all’art 4.3 dell’Accordo di Parigi – in merito al livello di impegno richiesto agli Stati in tale contesto, in conformità con lo standard della dovuta diligenza, propria del diritto internazionale dell’ambiente, che impone agli Stati un obbligo di adottare le misure necessarie ad evitare danni ambientali. Tale principio è già stato affermato dalla CIG stessa nel parere consultivo sulla Legalità della minaccia o uso delle Armi Nucleari (1996), in cui aveva affermato che “l’obbligo generale degli Stati di garantire che le attività che rientrano nella loro giurisdizione e nel loro controllo rispettino l’ambiente di altri Stati o di aree al di fuori del controllo nazionale è ora parte del corpus del diritto internazionale in materia di ambiente”. L’applicazione dello standard della due diligence impone agli Stati l’obbligo di effettuare una valutazione preliminare circa il rischio di danni ambientali e, in tale eventualità, l’obbligo di condurre una valutazione di impatto ambientale, come affermato dalla CIG stessa nelle sentenze Costa Rica c. Nicaragua e Nicaragua c. Costa Rica.

La CIG potrebbe decidere di applicare tale standard al contesto del cambiamento climatico rideterminandone il contenuto, anche alla luce della necessità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Più in generale, individuando gli obblighi statali per prevenire e correggere gli effetti negativi del cambiamento climatico, la CIG potrà fissare nuovi parametri di riferimento in merito all’azione per il clima, rispetto ai quali si potrà valutare la conformità degli obiettivi fissati dagli altri trattati internazionali in materia.

Inevitabilmente, data l’autorevolezza della CIG e il carattere generale della sua giurisdizione, il parere influenzerà le decisioni in materia di cambiamenti climatici da parte delle corti interne, le quali mostrano una crescente attenzione nei confronti delle evoluzioni del diritto internazionale dell’ambiente. Ad esempio, il parere consultivo della Corte interamericana dei diritti umani (OC-23/17) in materia di diritti umani e ambiente, che ha riconosciuto la responsabilità degli Stati per danni transfrontalieri e ampliato l’interpretazione della nozione di giurisdizione extra-territoriale in favore di una maggiore protezione dei diritti umani, è stato richiamato in molte sentenze da parte di tribunali interni in America Latina.

Inoltre, il parere consultivo della CIG rappresenta un’opportunità per ottenere una presa di posizione autorevole sulla questione delle perdite e dei danni, che è stata oggetto di numerosi negoziati internazionali sfociati nella decisione da parte della COP27 di istituire un fondo per le perdite e i danni, in particolare per gli Stati più vulnerabili. In questo contesto, la CIG potrebbe fornire indicazioni sul contenuto sostanziale degli obblighi concernenti le perdite e dei danni, contribuendo a stabilizzare i negoziati per la fissazione di una normativa vincolante per attori statali e privati coinvolti in attività incidenti sul clima.

Alla luce di quanto enunciato, è opinione di chi scrive che il parere della CIG avrà un impatto catalizzatore e cruciale a livello internazionale soprattutto nella misura in cui riuscirà a saldare gli obblighi degli Stati alla tutela dei diritti delle future generazioni, sulle quali ricadranno le conseguenze più gravi del cambiamento climatico in atto.

Avv. Valeria Fiorillo

Foto di Marcin da Pixabay 

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