Cittadinanza italiana per discendenza in linea materna

Con ordinanza del 31 gennaio 2023, il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso proposto dallo Studio S&P nell’interesse di due cittadini britannici, riconoscendo loro la cittadinanza italiana iure sanguinis.

I due ricorrenti, padre e figlio, erano discendenti di un cittadino italiano, nato nella penisola a fine ‘800 ed emigrato nel Regno Unito, dove era deceduto senza rinunciare alla cittadinanza italiana e senza naturalizzarsi cittadino britannico.

La circostanza per cui la figlia di costui, rispettivamente madre e nonna dei ricorrenti, fosse nata in territorio britannico non poteva essere di ostacolo all’acquisto della cittadinanza italiana, in forza di quanto previsto dall’allora vigente art. 7 della legge n. 555/1912. Né poteva sostenersi che colei avesse perduto la cittadinanza italiana per essersi unita in matrimonio con un cittadino britannico, in applicazione del previgente art. 10, co. 3, della stessa legge, secondo cui “la donna cittadina che si marita ad uno straniero perde la cittadinanza italiana, sempreché il marito possieda una cittadinanza che per il fatto del matrimonio a lei si comunichi”.

Il Tribunale, accogliendo l’argomentazione prospettata dai ricorrenti, ha richiamato sul punto due note pronunce della Corte costituzionale: la sentenza n. 87 del 16.4.1975, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, co. 3, della legge n. 555/1912 nella parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna che si sposava con cittadino straniero, e la sentenza n. 30 del 9.2.1983, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 1, della medesima legge nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina.

Il giudice di Roma ha ricordato altresì la sentenza n. 4466 del 25.2.2009 della Corte di cassazione, nella quale le Sezioni Unite hanno specificato che gli effetti delle sentenze della Corte costituzionale retroagiscono “oltre la data di entrata in vigore della Costituzione (…) essendo in gioco diritti inviolabili della donna ad essere trattata non diversamente dall’uomo”.

Una simile estensione temporale dell’efficacia retroattiva delle sentenze della Corte costituzionale non era, tuttavia, necessaria in specie, dato che il matrimonio era stato celebrato dopo il 1° gennaio 1948. Cionondimeno, la ratio della sentenza delle Sezioni Unite si è dimostrata utile al caso, avendo consentito che ai ricorrenti venissero applicati gli artt. 1 e 10 della legge n. 555/1912, come modificati retroattivamente dalle sentenze della Corte costituzionale.

Per ulteriori informazioni, contattare lo Studio S&P all’indirizzo email: studio@saccuccipartners.com.

Fonte immagine: www.cittadinanza.biz

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