La Corte europea riprende l’esame dei casi di esproprio in Albania

A gennaio 2020, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ripreso l’esame dei ricorsi concernenti l’espropriazione delle proprietà durante il regime comunista in Albania.

L’annosa questione è all’esame della Corte europea ormai da decenni e ha dato origine a numerose pronunce di condanna dello Stato albanese. Tuttavia, nonostante i numerosi interventi legislativi succedutisi nel corso del tempo, una soluzione definitiva è ancora lontana.

A seguito della sentenza-pilota della Corte europea nel caso Manushaqe Puto nel 2012, la Repubblica di Albania ha adottato la legge n. 133/2015, avente l’obiettivo di gestire le migliaia di domande di restituzione e/o risarcimento ancora pendenti. La nuova legge, tuttavia, continua a sollevare numerose criticità attinenti al metodo di valutazione delle proprietà espropriate (completamente disancorato dal criterio del valore attuale di mercato), alle modalità dell’indennizzo (tetto massimo dell’indennizzo monetario e assegnazione di terreni in concambio per il valore residuo) e alle tempistiche del processo (è previsto un orizzonte temporale ultradecennale per il pagamento). Queste previsioni si pongono in aperto contrasto con i principi guida enunciati dalla Corte europea nella sua giurisprudenza consolidata.

La Corte europea sarà ora chiamata a valutare la compatibilità della l. n. 133/2015 con l’art. 6 CEDU (diritto all’equo processo) e l’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU (diritto al pacifico godimento dei beni).

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