“Quote latte”: ricorso alla CEDU per violazione del bis in idem

Lo Studio S&P, su iniziativa di numerosi produttori di latte, è stato incaricato di predisporre una serie di ricorsi contro lo Stato italiano per censurare la violazione del principio del ne bis in idem sancito dall’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, in quanto le giurisdizioni nazionali hanno definitivamente condannato i ricorrenti per il reato di truffa nonostante i fatti oggetto del procedimento penale fossero “sostanzialmente identici” a quelli che avevano già dato luogo all’irrogazione, in virtù della disciplina speciale sul “prelievo supplementare”, di sanzioni amministrative “milionarie”.

Sostengono, infatti, i ricorrenti che tali sanzioni siano qualificabili come aventi natura “penale”, alla stregua dei criteri c.d. “Engel” elaborati dalla Corte europea, in ragione della natura dell’illecito cui conseguono e della loro assoluta gravità (cfr. Grande Stevens e altri c. Italia, sentenza 4 marzo 2014) e sono state, in effetti, qualificate come tali dalla stessa Corte di Cassazione in una recente sentenza avente ad oggetto fatti identici (cfr. Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 897/2015). Di conseguenza, i ricorrenti sono stati sottoposti ad un doppio giudizio per i “medesimi fatti”, essendo le condotte loro addebitate in sede penale (ovvero l’omesso versamento del prelievo supplementare) temporalmente sovrapponibili e sostanzialmente coincidenti con quelle oggetto del procedimento sanzionatorio amministrativo.

La Corte europea dei diritti dell’uomo sarà ora chiamata a pronunciarsi sull’applicazione in Italia del controverso regime in materia di contingentamento della produzione di latte bovino, originariamente disciplinato, a livello europeo, dal Regolamento CE n. 1788/03 e, a livello nazionale, dalla l. n. 119/03.

Com’è noto, il sistema delle c.d. “quote latte”, definitivamente abolito a partire dal 1 aprile 2015, prevedeva che ogni anno l’Unione Europea, al fine di contrastare le eccedenze strutturali del settore lattiero-caseario, assegnasse a ciascuno Stato membro un quantitativo massimo di latte producibile (c.d. “riserva nazionale”) e che, nei limiti di tale riserva, lo Stato attribuisse alle aziende produttrici una quota individuale di riferimento, il cui c.d. “splafonamento” obbligava queste ultime a versare all’Erario una quota – denominata “prelievo supplementare” – calcolata sulla base dei chilogrammi prodotti in eccedenza.

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